L’utopia dei cancelli
aperti alla fatica
ha snaturato lo spirito
della mia gente;
tradita l’inclinazione
dei figli ereditata nel tempo.
Alla terra erano legati
anche gli altri mestieri
fino al pane ch’è vanto
di una città sbiadita
e ormai senza nome.
La vecchia dimora,
la grotta è profanata
soltanto dal viaggiatore
che accresce la cifra
per chi è vanto la conta:
non vi è ristoro per quanti,
né per i figli di questi,
nello speco videro la luce.
Sordi alla voce degli avi,
sedotti dal pelo del bue,
illusi che un divano potesse
fare spuntare la spiga
da sacrificare ogni giorno
per tutte le bocche riunite
intorno a un sol piatto,
invano tendiamo l’orecchio
per sentire rumori di macina
da tempo da noi rifiutata
Desertificato è l’agro,
abbattuti pastifici e mulini;
ora anche i cancelli al domani
per lucro lentamente van chiusi.
Come abbiamo potuto
seppellire nel sangue
un seno di madre
e l’orgoglio di avere
il legame ai suoi campi!?
Senza orizzonti, sulle ceneri
e nel rimpianto di ieri e di oggi,
in silenzio, con i fratelli insieme,
senza più lacrime né lucciole
nelle notti stellate, ci manca
finanche il conforto del pianto.
Identità tradita
Giuseppe Ambrosecchia