La casa di nonno Giuseppe

La casa di nonno Giuseppe

Non odo i soliti rumori della via
né voce alcuna
accompagna la mia fuga;
ovattata dal crepuscolo della sera,
dalla trave di una la mia antica,
un serto appeso
sul capo dei miei padri,
a provvista tiene
una corona di pomodori; intorno,
tra le sperdute immagini,
il respiro e l'ombre;
arredi d'altri tempi bucherellati
tra le diverse casse
e la madia del pane annerita;
in supplica la Vergine nella campana
e un orologio segnatempo
sono sul marmo grigio
di un comò abbrunato dalle stagioni
assopite nei cassetti
insieme ai santini con la biancheria.

E' l'ora della preghiera
per implorare il vespro di tardare
e riaccendere a quel bambino
sprazzi della sua perduta primavera:
certo è anche
con le pie al rosario
prima della sera
il pianto al cuore
in veglia della palpebra socchiusa.
Io la cercai perché anzitempo
dei grandi il vivere mi fu prestato:
tra schiumose sponde
torrentizi i giorni
e il passare degli anni.
L'anima briosa della giovinezza attesa
giammai fu mia; or dunque,
dietro le mie spalle,
tentò di trovare le festosa risa
che il labbro mio non tenne.
Eppure, anche il mandorlo fiorito
al cielo ostenta i fruttuosi rami
e su di essi i nidi ascosi
col tenero piumaggio;
ma nessuna estate
disegna questa stanza;
il desiderio volge oltre le mie ciglia
allorquando tra quegli arredi
il sogno s'avvia all'uscio
per infrangersi come un maroso
contro battenti armati:
da sempre il mare,
quand'egli prova,
lo scoglio erge
per vietare l'approdo.
Speranzosa vaga
solo nei miei occhi chiusi
ora l'età fanciulla
mentre in queste mura
torna a morire tra gli oggetti
e lo sguardo intanto aperto
sopra un paralume.



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