Un riccio di cespuglio nella roccia,
non nel mio cuore deserto e brullo,
ostenta un fiore che non sboccia.
Costruirò per lui un letto o una culla
senza bruciare il cielo sull'altare,
ma con null'altro e poco incenso
cospargerò lo spirito decomposto
d’un uomo vivo che si sente morto.
Lassù, aldilà delle Gravine, ove
col sole regna il silenzio delle cicale,
sperduto e solo, alla tua dimora
volgo il mio pensiero, cara Isabella,
e dal Favale nel tuo bel canto
vive il paese, la vergogna e l’onta
nella memoria del fratricidio:
corre lungo la riva nel fondovalle
il tuo destino; ride la morte
tra i tuoi capelli con l’acqua
che scende al mare e rilava
vecchi lapilli. Più su, odorosa,
tra i verdi e i calanchi
profuma la ginestra; e nulla
ricorda ai passeri l’antica torre
ove il tempo ha cancellato tutto:
i tuoi paesani cercano il riscatto
nel tuo nome e a sera il verso.
S’io non fossi qui a contemplare
il volo del rapace a cui somiglianza
tende il mio dispiego d’ali,
dalla mia tristezza non saprei fuggire,
cieco la sabbia farebbe il cuore
e seppellito da improvvisa duna
per nascondere a voi quel fiore
che nel frattempo è nato
sulla rupe a picco
di questo mio sgomento.
Ricordo Valsinni
Giuseppe Ambrosecchia