La festuca nel becco della gazza

La festuca nel becco della gazza

Quante volte ti ho visto
beccare sulle carogne e,
nel terriccio dei cactus
sul terrazzo, al mattino
l’osso da te spolpato!
Sdegnato dal profondo,
l’animo mio ti associa
a quel resto adombrando
l’eleganza che ostenti
nei colori lucenti con cui
vesti il tuo piumaggio.
Eppure quest’oggi in volo
la pagliuca stretta dal tuo becco
il mio sguardo cattura
e l’occhio induce a seguirti
fino al ramo più pingue ove
anche la tua penna bianca
scompare nell'agoraio.

Oh madre perfetta, oh natura,
tu hai dato a chi una penna
a chi la pelle perché tra loro
e dall'altro genere ognuno
fosse diverso; con l’uomo
- l’eletto tra gli esseri viventi -
tu fosti generosa e in lui ponesti
ogni grandezza senza limiti
tal ché non vi è cosa o alcuno
che anche soltanto una
ne possa misurare; agli altri
un piede non è concesso,
ma solo zampe per la terra
o ali per il cielo;
però maestra fosti di tutti
per come costruire la casa
affinché ogni specie si perpetrasse
fino all'ultimo giorno del creato.

Perché senza perfezione
è la mano se per prima
per ogni altro diverso fine
la sua opera è compiuta?
Se nido o tana
di calore sono sempre pregni
senza distinzioni; dimmi
perché tra le loro mura,
prive dell’opera di chi le abita,
manca anche quello che unisce
ieri all'oggi e al domani
e il padre al figlio e alla madre
così come al ramo il nido la gazza
e la tana alla terra
che protegge e nasconde
i cuccioli della volpe
dalle mire dei cacciatori?

Oh natura, agli esseri viventi
l’istinto dona ogni perizia
perché nel tempo la specie
non abbia fine e tu la materia prima
perché si adempia, mentre
dal cuore dell’uomo rimuovi,
ciò che nel sangue è scritto?
Quale certezza è data ai posteri
se pure la legge tua del fare
solo per lui non vale?

Stamani ho seguito il fuscello
teso nel becco della gazza
ed ora seguo l’immagine
del ricordo delle madri
che vissero la giovinezza
a metà secolo passato
intende nel giardino
e a stillare dal sudore
il ricamo sul lenzuolo
per la bimba che il suo cuore
un giorno, ma già d’allora,
vedeva vestita di bianco, sposa.
Una triste ilarità si affaccia
a rimembrare l’uso scorretto
della madre lingua con cui
entrambi i genitori memori
dei rudimenti appresi
traducevano il parlato
in un lontano approssimato
quando in elenco e numeri
annotavano su carta
e alla stima di parenti e amici
il pregio e il quanto del sudore
che l’amore portava in dote.

Ora tutto stride senza ragione
più del cardine alla porta
che ormai nessuno cura;
smarrito dall'incendio repentino,
dalle ceneri del tempo del passato
cerco testimonianze per credere
o illudermi di vedere l’arbusto
stretto dalla mano d’un bambino
che si arrampica sul pino
per riparare il nido della gazza
danneggiato dal sasso
lanciato dall'altra mano.

Quale demone si dovrà scacciare
se di normale è rimasto alla gota
solo la lacrima che scende
e la condanna pende sul capo
giacché sull'ara l’intendo d’ognuno
è di porre il proprio sacrificio?
E’ la sua stoltezza
che rinchiude l’Iddio degli uomini
nei cibori sacri
aperti per orazioni e suppliche
di chi solo per sé Lo invoca;
in quale deserto io dovrò recarmi
per dare un lume alla mia ragione
e ritrovare la voce del Dio di tutti?



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